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Marzabotto, la strage che insanguinò l’Appennino

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ANSA.it

La nostra pietà per loro significhi che tutti gli uomini e le donne sappiano vigilare perché mai più il nazifascismo risorga”. E’ la scritta, semplice eppure piena di significati, che dopo 75 anni accoglie chi si arrampica fino al cimitero di Casaglia, sopra Marzabotto, sull’Appennino Bolognese. Uno dei luoghi dove è avvenuta una delle più grandi e feroci stragi di civili di tutta la seconda guerra mondiale, quella che in Italia ha causato più vittime. 

Fra l’estate e l’autunno del 1944 la ritirata delle truppe tedesche, ormai sconfitte, lasciò dietro di sé una gigantesca scia di sangue. Fra il 29 settembre e il 5 ottobre la marcia della morte guidata dal maresciallo Kesselring per fare ‘terra bruciata’ attraversò le colline e le montagne attorno a Marzabotto, lasciando dietro di sé circa 800 morti.

Fu una strage, come hanno riconosciuto numerosi atti processuali, premeditata, decisa a tavolino, eseguita con fredda metodicità, che non risparmiò donne, invalidi, bambini: nessuna rappresaglia, nessuna vendetta. Solo l’intenzione di distruggere e uccidere. L’obiettivo delle Ss era quello di stroncare le formazioni partigiane che combattevano per la liberazione, con la logica dell’equiparazione dei civili alle formazioni in armi. Considerando, quindi, anche donne, bambini e anziani, come dei nemici da sterminare. 

Sui monti di Marzabotto era attiva la brigata partigiana ‘Stella Rossa’. Prima di attaccarla Kesselring ordinò al maggiore Walter Reder di organizzare una vasta operazione di rastrellamento fra le valli del Reno e del Setta. Un’operazione militare in grande stile, condotta, però, contro nemici disarmati.

Il 29 settembre 1944 la gente, impaurita, si riunì nella piccola chiesa di Casaglia e cominciò a recitare il rosario. I nazifascisti entrarono in chiesa, freddarono con una raffica don Ubaldo Marchioni e raccolsero sul sagrato tutti gli altri che uccisero, poi, con fredda metodicità: 195 vittime, le prime di una settimana di sangue, costellata da decine e decine di altri eccidi in villaggi e cascinali. Con una ferocia inconsueta: il corpo, decapitato, di un altro prete, don Giovanni Fornasini, fu ritrovato solo nell’inverno successivo, sotto la neve. Marzabotto, Grizzana, Vado di Monzuno, Castellano. Ovunque lo stesso copione, che rispondeva a ordini precisi: “uccidere tutti, distruggere tutto”.

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