Carta di giornale – Tutti faccia al muro!
ANDREA OLIVA
Quest’anno ricorre il trentennale della caduta del muro di Berlino. Un muro vero, fisico, eretto dopo la costruzione, nel 1961, di un tracciato in filo spinato, alto quattro metri. I mattoni furono una “raffinatezza” riservata al dopo. Fino ad allora, la città era divisa effettivamente in due, ma la si poteva percorrere in lungo e in largo. Una metà era sotto l’influenza americana, l’altra era in mano ai russi.
La gente lasciava la Germania dell’est. Lo facevano in migliaia: sotto i loro occhi, il miracolo economico della parte occidentale, contro le ristrettezze imposte dal blocco sovietico. Fu eretta quella barriera per evitare l’emorragia di cittadini. Si sparava a chiunque tentasse la fuga. Il muro divise tutto: affetti, vita, cultura, storia. Gli studenti dell’est iscritti all’università, ora sul lato ovest, non potevano più raggiungerla. Le case sul tracciato del muro ne divennero parte, una volta sgomberate e murate. Un’aberrazione, se non ci fosse anche del grottesco.
Qualcuno rimpiange quella terra dell’essenziale, senza capricci, senza superfluo, ma con sanità di alto livello, scuole di prim’ordine e lavoro sicuro. Il prezzo era un altissimo debito pubblico, che la Germania ovest, dopo l’unità, riassorbì “stoicamente”, importando fiumi di manodopera turca senza diritti e a bassissimo costo. Con il disastro di Chernobyl e la verità che ne segue, il mito del socialismo reale crolla. La gente esplode. Cominciano a demolire il muro a piccoli pezzi; si apre il varco; la gente passa e si serra in abbracci infiammati di gioia. Anche quel sogno di riscoperta libertà, però, doveva spegnersi, nell’Europa dell’oggi: delle banche, dei traffici e del dissesto. Un nuovo muro, più alto e più duro da abbattere.