Diritto alla cura o suicidio assistito?
Il 23 dicembre 2019 la corte d’Assise di Milano, come richiesto dalla Procura, ha assolto Marco Cappato, esponente dei Radicali italiani e tesoriere dell’Associazione “Luca Coscioni”, dall’accusa di aiuto al suicidio. L’ex parlamentare aveva accompagnato nel 2017 il quarantenne Fabiano Antoniani, conosciuto come Dj Fabo, a morire in una clinica svizzera con la procedura del “suicidio assistito” perché rimasto tetraplegico in seguito a un incidente stradale. Cappato è stato assolto con la formula “perché il fatto non sussiste e, quindi, come commentato dopo la sentenza dal legale del leader radicale Filomena Gallo, ora ci aspettiamo dal Parlamento una legge: il nostro lavoro continuerà fino a quando in Italia non saremo liberi fino alla fine”. Per presentare un tema di così grande attualità Interris.it ha intervistato Giovanna Razzano, Professore Associato di Istituzioni di diritto pubblico nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Roma “La Sapienza”, che ha da poco pubblicato il libro La legge 219/2017 su consenso informato e DAT, fra libertà di cura e rischio di innesti eutanasici (edizioni Giappichelli, Torino 2019).
Il primo dei diritti umani, in una prospettiva personalista e, direi, realista, è il diritto alla vita, dal concepimento fino al suo esito naturale. Il diritto alla vita condiziona infatti l’esercizio di ogni altro diritto e comporta, in particolare, l’illiceità di ogni forma di eutanasia. Ma cos’è secondo gli standard giuridici internazionali l’eutanasia e qual è la differenza sostanziale con il divieto di accanimento terapeutico?