Caporalato: i migranti chiamati «scimmie». L’acqua da bere presa dai fossi di scolo
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COSENZA – I migranti impegnati nei campi e sfruttati per pochi euro al giorno, per i caporali, erano delle «scimmie», per questo si poteva dar loro da bere l’acqua di un fosso di scolo dove venivano riempite le bottiglie.
Le intercettazioni della Guardia di Finanza, nell’ambito dell’operazione “Demetra” cha ha portato all’emissione di 60 provvedimenti di custodia cautelare e al sequestro di 14 aziende agricole tra Calabria e Basilicata (LEGGI TUTTI I PARTICOLARI), hanno svelato retroscena inquietanti.
«Ai neri mancano un paio di bottiglie di acqua. Nel canale, gliele riempiamo nel canale…», dice una delle persone intercettate al telefono mentre chiede come dare da bere ai lavoratori impegnati nei campi. La soluzione viene subito trovata con qualche bottiglia vuota da riempire proprio nel canale, senza remore e senza alcun problema di sorta.
Ma sono i termini con cui vengono definite le persone a descrivere il clima di barbarie in cui si operava. Il mancato arrivo degli operai nei campi, faceva scattare subito le telefonate e le parole lasciano esterrefatti: «Dove sono le scimmie?», chiede uno degli interlocutori.
E poi gli accordi per i lavori da portare avanti il giorno dopo: «Domani mattina là ci vogliono le scimmie…», dicono gli indagati, «…e facciamo venire le scimmie, così cerchiamo di finire…», risponde l’interlocutore dall’altra parte del telefono.