La cassa del clan Mancuso nascosta sotto terra: «Legato e bruciato vivo» dopo averla scoperta
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«Pacchi di soldi, pallet proprio, bancali di soldi…». Il ragazzo trovò quel tesoro nascosto tra la campagne accedendovi attraverso un cunicolo. Poi lo raccontò alla madre: «Te ne do un pugno e ci facciamo una villa, una reggia». La madre pensò fosse matto. Forse, però, non lo era. Qualche giorno dopo, il corpo del giovane fu ritrovato straziato, carbonizzato, in una discarica, a Ionadi.
Era il 27 gennaio del 1995. Quel ragazzo si chiamava Francesco Cichello, per tutti però era semplicemente «Franco» ed era di Filandari. Un cold case, un delitto dimenticato ed impunito dal movente (presunto) clamoroso, che a sua volta andrebbe a dissolvere l’aura della leggenda attorno a quello che forse si pensava fosse solo un mito: la «cassa centrale del clan Mancuso»Qualche anno prima di togliersi la vita, Bruno Fuduli – l’ex collaboratore di giustizia ed ex infiltrato nella rete di ‘ndranghetisti e narcos, che in seguito passò dall’altra parte della barricata indossando i panni del broker della cocaina su scala internazionale – ebbe due colloqui con i carabinieri del Ros di Catanzaro, con i quali aveva chiesto di conferire. Forse aveva compreso i suoi errori. Forse voleva riaccreditarsi dopo aver tradito lo Stato. Forse intendeva provare a riparare i guai giudiziari che s’era procurato. Qualunque fosse il suo intendimento, ciò che aveva da dire era di particolare interesse.