E’ lecito l’aiuto del coniuge sul lavoro o si considera lavoratore in nero?
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Si pensi al coniuge titolare di un negozio, di un bar o di attività che occasionalmente usufruisce della collaborazione del coniuge, che non risulta essere dipendente né assunto nell’impresa. Di solito questa circostanza si verifica quando il coniuge si occupa di piccole commissioni svolte nell’ambito dell’attività di impresa, o di istaurare e/o mantenere saltuariamente i rapporti col la clientela: invio di mail, contatti telefonici ecc.
Ebbene in questi casi la prestazione lavorativa è ammissibile anche se resa al di fuori di un rapporto di lavoro subordinato, non viene considerata lavoro in nero. La Corte di Cassazione afferma che la prestazione è resa “affectionis vel benevolentiae causa”, per tale ragione si presume a titolo gratuito fino a prova contraria (sentenza 20904 del 30 settembre 2020).
La presunzione è superabile in presenza di una prova rigorosa degli elementi tipici della subordinazione.
Requisito dell’affectionis benevolentiae – L’adempimento spontaneo e occasionale del coniuge, che aiuta o collabora con il coniuge sul lavoro, si fonda sul principio di solidarietà e sul rapporto affettivo familiare, privo di vincolo giuridico. Si configura come obbligazione naturale, morale ed affettiva, il cui adempimento può essere ricompreso nei doveri familiari.