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David Trezeguet intervistato a “Talk To” dagli Juventus Member

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David Trezeguet, ex calciatore francese e oggi Brand Ambassador della Juventus, è stato a Torino dal 2000 al 2010 dove ha collezionato quattro scudetti (due poi revocati a seguito dello scandalo Calciopoli), due supercoppe italiane e un campionato di Serie B. Con la nazionale francese è stato campione del mondo nel 1998 e campione d’Europa nel 2000. A livello personale, nella stagione 2001/02 è stato il capocannoniere del campionato italiano.

Trezeguet è stato il primo ospite di “Talk To”, la prima edizione del nuovo format bianconero in cui, alcuni tifosi, nello specifico gli Juventus J1897 Member, hanno la possibilità di porre domande agli ospiti che risponderanno in video conferenza. L’ex attaccante ha risposto ai quesiti raccontando il suo passato con la maglia bianconera e svelando quali sono i suoi rapporti con gli ex compagni di squadra.

Ciao David, iniziamo a parlare un po’ della tua carriera. Qual è stato il percorso che ti ha portato a diventare un professionista?

Il mio percorso è stato molto umile. Sono nato in Francia dove mio padre giocò per tre stagioni e quando compii due anni decise di tornare in Argentina, sua terra natale, per proseguire la carriera. Perciò sono cresciuto in un paese dove il calcio fa parte del lato educativo. Ho iniziato a giocare per strada insieme ai miei amici e poi sono entrato a far parte della mia prima squadra, la Platense. All’età di diciassette anni sono tornato in Francia dove ho giocato al Monaco e lì credo di aver concluso il mio percorso formativo, perché in Francia i giovani trovano molto più spazio che, ad esempio, in Italia.

Passiamo alla tua storia con la Juventus. Secondo te, cosa vuol dire indossare la maglia bianconera?

Ricordo che arrivai in Italia nel 2000 dove in tanti mi cercavano: la Lazio, la Roma e anche la Juve. Scelsi quest’ultima perché mi permetteva di fare il salto di qualità che desideravo e perché era un mondo che sentivo parecchio vicino al mio, dove le parole stavano a zero e dovevi guadagnarti la fiducia del mister e dei tifosi solo con i fatti. Arrivato a Torino, sapevo già che questa era una società competitiva dove i traguardi da raggiungere sono molto chiari sin dall’inizio. Poi mi sono ritrovato dentro a uno spogliatoio con giocatori di un livello straordinario: Del Piero, Zidane, Inzaghi, gente che ha fatto la storia del calcio. Penso che la Juventus sia stata per me, come per molti altri, una famiglia: sei in un posto importante, giochi competizioni importanti e la città ti permette di poter vivere serenamente e tutto questo fa capire quanto noi giocatori stiamo bene alla Juventus.

C’è un episodio della tua carriera in bianconero che ti ha legato particolarmente alla Juventus?

Penso tutte le vicende del 2006. Quell’anno è stato un momento difficile per tutti, ma per quelli che sono rimasti si è sentita la stima della società e l’aiuto del pubblico. Sul lato emotivo sono cose che ti rimangono dentro. Io giro per il mondo come Brand Ambassador per la Juve e sento la stima dei tifosi per tutti quei giocatori che sono rimasti in Serie B. Abbiamo lasciato un segno forte verso la società, la città e verso i tifosi. Questo tipo di attaccamento verso la maglia della Juve è stato veramente forte e il pubblico ha un rispetto maggiore verso di noi.

Qual è invece, il momento più bello che ti lega alla Juve e alla città di Torino?

Sicuramente il momento più bello è stato ad Udine il 5 Maggio 2002, quando vincemmo il campionato. Quello fu il mio primo scudetto e in più il modo in cui lo vincemmo, all’ultima giornata con il 4-2 della Lazio sull’Inter a Roma, fu unico e ancora oggi ho tanti ricordi legati a quella giornata. Altri momenti indimenticabili sono le sfide con i Galacticos del Real Madrid a Torino con i tifosi che, diversamente dal solito, riempivano totalmente lo stadio.

Qual è il giocatore con cui ti sei trovato meglio, sia in campo che fuori, nei tuoi dieci anni alla Juventus?

Penso che per quanto riguarda il campo, quello che ho fatto con Del Piero sia stato unico. Siamo stati la miglior coppia d’attacco nella storia della Juventus e credo che, per uno straniero, questo traguardo sia molto importante. Fuori dal campo mi sono trovato molto bene con Camoranesi, tant’è vero che oggi siamo ancora amici molto stretti e condividiamo tantissime cose delle nostre vite.

Qual è stato invece, il difensore più forte che hai dovuto affrontare durante la tua carriera?

Io ho avuto la fortuna di conoscere un campionato italiano all’apice del suo splendore, dove giocavano tutti i calciatori più forti: Crespo, Shevchenko, Vieri, Inzaghi, Ronaldo il fenomeno, Salas, giusto per citarne qualcuno. Da loro ho imparato tantissimo e ogni domenica affrontare i vari Maldini, Cannavaro, Samuel, Thuram, era una sfida molto dura e una mia grossa soddisfazione è stata quella di riuscire ad impormi.

Durante la tua permanenza a Torino hai avuto numeri straordinari: sei stato capocannoniere del campionato alla tua seconda stagione, hai segnato 171 gol in 320 partite diventando il quarto miglior marcatore con la maglia bianconera. Quanto ha influito l’intesa con i tuoi compagni e il duro lavoro in allenamento, per il raggiungimento di questi obiettivi?

Penso tanto, soprattutto perché in allenamento lavoravo tanto sui miei difetti, ma di fatto, facendo quello che piaceva a me, ovvero stare davanti alla porta. Eravamo un gruppo che lavorava tanto e non avevamo problemi a fermarci dalla mattina fino al pomeriggio e credo che qui si noti la differenza tra i giocatori e i campioni. In più a me piaceva studiare i miei compagni: sapere chi crossava sul primo palo, chi sul secondo, chi era più comodo a fare certi tipi di giocate; dettagli, ma provavo ad approfittarne per facilitare l’ultimo passaggio ai miei compagni.

Cosa ha significato per te, raggiungere Omar Sivori nella classifica dei migliori marcatori nella storia della Juventus?

Ricordo bene la partita, Atalanta Juventus 2-5, Chiellini mise il pallone al centro dell’area e tirai di prima intenzione con il sinistro. Quello è stato il mio ultimo traguardo a livello personale. Sivori è stato una leggenda, un personaggio amato non soltanto dal mondo juventino. Purtroppo non ho avuto la fortuna di poterlo vedere e poterci parlare, ma per quello che ho capito è stato un calciatore emblematico e averlo raggiunto e poi superato, mi ha fatto capire la storia che ho scritto con addosso la maglia bianconera.

Quali sensazioni hai provato quando hai giocato la tua ultima partita con la Juventus?

Per me non è stato affatto un momento semplice. Decisi di andar via gli ultimi giorni del mercato estivo del 2010 anche se mi sarebbe piaciuto rimanere, ma allo stesso tempo capii che c’era bisogno di un cambiamento. Non è stato semplice andare via, soprattutto perché quando arrivi in un’altra squadra capisci la serietà e la professionalità della società e vedi che anche gli obiettivi sono diversi. È stata un’esperienza straordinaria, ho avuto la fortuna di segnare tanto e di diventare un idolo per i tifosi, però mi porto dietro il rammarico di non aver vinto la Champions e di non aver giocato nel nuovo stadio della Juventus.

Concludiamo rimanendo sul tema Allianz Stadium. Non hai avuto la fortuna di giocare nel nuovo stadio però sei stato a bordocampo e sei stato a stretto contatto con la tifoseria. Quali sensazioni hai provato e in più, le tribune attaccate al campo danno veramente una carica in più?

A dir la verità, io ho giocato all’Allianz Stadium, dove ho anche segnato, in una partita di leggende contro il Boca Juniors, ma lo stadio era praticamente vuoto. Sicuramente l’adrenalina che trasmettono gli spalti attaccati al campo si fa sentire, come avviene, per esempio, negli stadi inglesi. Per me la vicinanza del pubblico, soprattutto in Italia dove c’è sempre stata l’idea di uno stadio anni 80-90, è fondamentale. La Juve ha ridimensionato questa idea e molti ne sono rimasti sorpresi. L’Allianz si, ti dà un valore aggiunto, una spinta e negli ultimi anni ha regalato diversi punti alla Juventus.

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