L’economia MOLTO REALE delle Cooperative di Comunità
ANDREA OLIVA
Nell’epoca della sperequazione che prende la forma di un manicheismo tra ricchissimi e poverissimi, della finanza creativa futuristica (i futures sono titoli in divenire: tu mi dai soldi buoni oggi e ti ritrovi con aria fritta dopodomani), dei mercati, esseri mitologici con il corpo di uomo e la testa di ca… (no: questo non si può scrivere!)… in questo marasma, l’espressione economia reale ha ancora senso.
Nell’era post industriale, che significa farsi l’orto in giardino, “Così almeno mangio!”, il commercio di informazioni è il nuovo oro trasparente (un bene metafisico, cioè incorporeo: ecco perché tutti parlano di trasparenza). Però… Però il caos delle città, l’aria che profuma di puro inquinamento, i cibi pesanti, la testa pesante di stress, la moneta pesante fuori dalle tasche leggere, la competizione competitiva, che, alla fine, l’unica cosa da fare non compete mai a nessuno, il post sui social nel secolo del post moderno… l’oggi, insomma, fa fuggire dalle metropoli. Si compra nei paesi, ieri abbandonati; si cerca l’uomo a misura d’uomo.
Ed ecco l’idea: la comunità dei residenti rilancia l’economia dei piccoli centri, costituendosi in cooperativa. Nascono le cooperative di comunità, che riscoprono produzioni tipiche, artigianato in genere, accoglienza e sanità (fisica, anche; mentale, soprattutto). Dopo anni nei quali la finanza si è prodigata a far fallire le casse di risparmio via scandali (privando di risorse l’iniziativa delle persone normali), l’uomo riscopre la comunione d’intenti che fa tessuto sociale, cioè economia di casa in casa. Economia, infatti, propriamente significa amministrazione della casa. L’auspicio è che questa rete cresca sul territorio: è l’unica difesa contro la deriva.