Teste di RAP
ANDREA OLIVA
RAP è l’adattamento ortofonico di una contrazione dell’inglese reprimend: “reprimenda”. Nasce per protesta, cresce per moda, trionfa per ignoranza. Un impoverimento culturale ad uso delle case discografiche. Come per il jazz, musica nera della protesta e manifesto della lotta per i diritti civili, poi sdoganato dal Cool Jazz bianco, anche il Rap passa dal ghetto alla beatificazione commerciale delle case discografiche. Quando la rabbia ha il permesso del commercio, è sotto controllo. Se uno nasce nel degrado e non ha modo di trovare aiuto nelle istituzioni, o fa il delinquente o la protesta veste i panni della canzone per fingersi vacua. Senza strumenti né educazione musicale, si sfrutta il talento naturale. Ci si arrabbia battendo su un bidone di latta sottosopra, a farne tamburo. Tutto questo merita rispetto e vale sempre: che si nasca nel Bronx, a Scampia o nello ZEN di Palermo. Ma ecco il miracolo: si rappa d’amore, di sesso, di sogni moderni e consumistici; ti aprono le braccia a Sanremo; ti fanno fare i soldi, convincendoti che te li meriti. Poco importa che un chirurgo si sia fatto il mazzo a studiare per guadagnare dieci o cento volte meno, mentre tu ti sballavi… i fessi sono gli altri. Il tuo italiano non arriva a duemila parole, sei il trionfo del cattivo gusto, ma la tua spasmodica logorrea è identitaria. Hai il tuo seguito: il numero legalizza. Ci può stare, ripeto, se la rabbia del ghetto, dal ghetto grida ed esce verso gli attici di palazzi opulenti , ma uno di Senigallia, di Piazza San Babila, o il figlio di un alto funzionario della Città del Vaticano che ci avranno da protestare? Niente, però sono loro i nuovi modelli; gli eroi di una generazione de-scolarizzata, che non legge un libro da mai o quasi, quando c’è riuscita. Teste di Rap.