Dal 14 ottobre 2022, le sale di Palazzo Cipolla ospitano la prima grande esposizione mai realizzata in Italia e dedicata a uno dei maestri dell’arte moderna, RAOUL DUFY (Le Havre, 3 giugno 1877 – Forcalquier, 23 marzo 1953).
MOSTA DEL PITTORE RAOUL DUFY
La pittura, i soggetti e i colori sgargianti saranno i protagonisti della prima grande esposizione in Italia dedicata al grande artista Raoul Dufy, ospitata a Palazzo Cipolla di Roma dal 14 ottobre.
Dufy, il pittore della gioia, della luce e del colore contribuì a cambiare il gusto del pubblico della prima metà del ‘900 adattando le sue innovazioni e la sua vivacità a tutte le arti decorative.
Con 160 opere provenienti dalle più importanti collezioni pubbliche e private francesi, la mostra percorre l’intera parabola artistica di uno dei più grandi interpreti della storia dell’arte, a cavallo tra impressionismo e fauvismo.
“Nella pittura l’elemento essenziale è il colore. Il colore è un fenomeno della luce. Per i colori la natura si serve della luce. Per captare la luce il pittore si serve dei colori”
Raoul Dufy
COMUNICATO STAMPA
Dal 14 ottobre 2022, le sale di Palazzo Cipolla ospitano la prima grande esposizione mai realizzata in Italia e dedicata a uno dei maestri dell’arte moderna, RAOUL DUFY (Le Havre, 3 giugno 1877 – Forcalquier, 23 marzo 1953).
La mostra, promossa dalla Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale per volontà del suo Presidente Prof. Avv. Emmanuele F. M. Emanuele, è realizzata da Poema con il supporto organizzativo di Comediarting e Arthemisia, ideata dal Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris, Paris Musées e curata da Sophie Krebs con il contributo di Nadia Chalbi.
Catalogo edito da Skira.
Autore di opere monumentali come La Fée Electricité (La Fata Elettricità, 1937 – 1938, Musée d’Art Moderne de Paris) – uno dei dipinti più grandi al mondo, di una lunghezza complessiva di 6 metri, composto da 250 pannelli e commissionatogli dalla “Compagnie Parisienne de Distribution d’Électricité” per essere esposto nel Padiglione dell’elettricità all’Esposizione Internazionale del 1937 a Parigi -, Dufy fu un grande pittore, scenografo e disegnatore francese di inizio ‘900 che, per la sua capacità di catturare le atmosfere, i colori e l’intensità della luce e a trasferirli sulle sue tele, divenne – per antonomasia – il pittore della gioia e della luce.
Nacque da una famiglia di modeste condizioni economiche ed ebbe un padre attivo come organista che trasferì in particolare a Raoul la sua stessa passione per la musica, che lui coltivò per tutto il resto della vita trasponendola anche nelle sue opere.
In seguito a una crisi finanziaria della famiglia, nel 1891 il giovane Raoul fu costretto a cercare lavoro a Le Havre.
Nell’ambiente artistico straordinariamente stimolante di Parigi si avvicinò a due maestri dell’impressionismo come Monet e Pissarro ma, nel 1905, lo scandalo dei Fauves gli rivelò una pittura moderna e “di tendenza” che lo portò ad avvicinarsi a Matisse.
Il 1903 fu l’anno della sua prima volta al Salon des Indépendants, nel quale espose fino al 1936 e poi fu accettato nel 1906 al Salon d’Automne (fino al 1943).
La sua attività artistica non conobbe interruzioni e, dal 1910, ampliò la sua attività nel campo delle arti decorative affermandosi con successo in una produzione assai vasta, dalla xilografia alla pittura e alla grafica, dalle ceramiche ai tessuti, dalle illustrazioni alle scenografie. Con un’attività artistica che non conobbe interruzioni fino alla sua morte, tutto ciò gli consentì di recuperare la sua tavolozza squillante, cui sovrappose un tocco grafico vibrante e allusivo.
Suddivisa in 13 sezioni tematiche, la mostra racconta l’intero percorso artistico del pittore francese, attraverso molteplici opere che abbracciano varie tecniche nei diversi decenni del Novecento, dagli inizi fino agli anni Cinquanta, quando Dufy cercò nuovi temi a causa della guerra e della malattia che lo costrinse a rimanere nel suo studio nel sud della Francia.
Un excursus che trova il suo leitmotiv nella violenza cromatica, nella magia di quel colore che diventa elemento indispensabile per la comunicazione di emozioni e stati d’animo.
Un’evoluzione che vede Dufy inizialmente prosecutore di quella tradizione impressionista germogliata con Monet proprio nella sua città natale di Le Havre e poi insieme ai Fauve che, radunati attorno alla figura di Matisse, reagiranno presto alla pittura d’atmosfera e a quel dipingere dominato dalle sensazioni visive, per poi approdare infine ad abbracciare l’austerità cezanniana con la quale le forme, le zone piatte di colori accesi o addirittura violenti sono indipendenti dalla linea che accenna appena a circoscriverle.
Onde a V rovesciata, nuvole e un mondo di forme: bagnanti, uccelli, cavalli, paesaggi ispirati sia dalla modernità che dal classicismo.
Predilige i paesaggi marittimi e ama particolarmente gli ippodromi che gli daranno grande successo. Sensibile all’aria del proprio tempo, si interessa infatti alla società dell’intrattenimento con le sue corse, le regate, gli spettacoli elitari e popolari al contempo che Dufy riproduce con brio e vivacità.
Un artista alla perenne ricerca di stimoli e sperimentazione, in grado di rendere l’arte impegnata ma allo stesso tempo apparentemente “leggera”, il cui scopo dichiarato era, come scrive la scrittrice americana Gertrude Stein, di arrecare piacere.
La mostra Raoul Dufy. Il pittore della gioia, con oltre 160 opere tra dipinti, disegni, ceramiche e tessuti provenienti da rinomate collezioni pubbliche e private francesi – come il Musée d’Art Moderne de Paris che conserva di Dufy una delle più ricche collezioni, dal Centre Pompidou, Palais Galliera, la Bibliothèque Forney e la Bibliothèque littéraire Jacques Doucet tutte di Parigi insieme al Musée de la Loire, Musée des Tissus et des Arts Décoratifs di Lione, il Musée des Beaux-Arts Jules Chéret di Nizza e al Musée Royaux des Beaux-Arts de Belgique di Bruxelles – racconta la vita e l’opera di un artista con lo sguardo sempre rivolto alla modernità, pervaso da una vivacità che ha saputo adattare a tutte le arti decorative, contribuendo a cambiare il gusto del pubblico.
Curata dalla Chief curator Sophie Krebs e Nadia Chalbi responsabile delle mostre e delle collezioni del Musée d’Art Moderne de Paris, la mostra è un viaggio emozionale attraverso i temi prediletti dall’artista, dove le sensazioni visive ridotte all’essenza della realtà, l’utilizzo della composizione, della luce e del colore sono gli elementi emblematici che caratterizzano le sue opere.
Afferma il Prof. Avv. Emmanuele F. M. Emanuele, Presidente della Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale: «Sono molto lieto di ospitare, presso lo spazio espositivo di Palazzo Cipolla, una mostra su Raoul Dufy, che viene riproposta a Roma dopo quasi quarant’anni di oblio (la prima ed unica esposizione su Dufy nella Capitale, prima di oggi, è stata infatti quella del 1984 a Villa Medici). Spesso non compreso a fondo, a causa dell’apparente semplicità del suo tratto pittorico, che gli ha fatto non di rado attribuire la patente di superficialità e mondanità, Raoul Dufy in realtà ebbe una formazione articolata e complessa: fu inizialmente influenzato dall’Impressionismo, perpetuando con maestria la tradizione di Monet e contando sulla peculiarità di essere un “colorista per temperamento”; successivamente, si accostò al Fauvismo ispirandosi alle figure di Matisse, Braque e Cézanne. La particolarità di Dufy risiede nel dissociare gradualmente, nel corso della sua maturazione artistica, il colore dal disegno, semplificando il più possibile ed anteponendo in tal modo la forma al contenuto. Egli – seguendo la propria teoria che il colore servisse ai pittori per captare la luce – viaggiò a lungo nel Mediterraneo, in particolare in Provenza (dove si stabilì) e nel Sud Italia. Da qui i celebri paesaggi, i bagnanti, i campi di grano, e poi le sale da concerto e soprattutto le regate, le corse dei cavalli e gli ippodromi, a raffigurare la società del tempo libero degli anni Venti e Trenta, che lo renderanno popolare tra il pubblico».
LA MOSTRA
Prima sezione – Sulle orme di Cézanne
Raoul Dufy è un esponente del movimento che si rifà ai grandi nomi del post-impressionismo, Van Gogh, Gauguin e soprattutto Cézanne che gioca un ruolo di assoluto rilievo in seno all’avanguardia artistica: “Cézanne è il padre di tutti noi”, dirà Picasso.
Dopo essersi scontrato con la leggibilità del quadro durante il periodo fauve, dal 1907 al 1908, Dufy si rivolge al metodo cézanniano che prescrive di costruire le forme attraverso il colore, i piani e i volumi geometrici. Nel 1908, il soggiorno a L’Estaque sulle orme di Cézanne, lo incoraggia a seguire il percorso che condivide con Georges Braque.
Braque e Dufy dipingono insieme gli stessi siti amati dal maestro di Aix – alberi scheletrici e angolosi, case cubiche, baie schematizzate – e creano composizioni dense, dalla gamma cromatica ridotta agli ocra e ai verdi. Dufy realizza una quindicina di tele caratterizzate da quell’austerità formale, ma è meno radicale di Braque.
Una volta tornato a Parigi, dal 1910 al 1914, Dufy dipinge nature morte in cui combina toni vivaci, pennellate direzionali e densità dei volumi. Domina in quelle tele l’impronta costruttiva di Cézanne come rimarca la Grande bagnante (1913), il capolavoro di questo periodo, ma il Giardino abbandonato (gabbia, uccelli) e Casa e giardino (1915) puntano sulla stilizzazione decorativa con gli arabeschi di fogliame che evocano i progetti tessili elaborati dall’autore nella stessa epoca.
Dopo la guerra, Dufy continua a guardare a Cézanne nei paesaggi realizzati a Vence, ma il suo nuovo stile si fa già avvertire nelle ampie campiture colorate sulle quali disegna facendo volteggiare il pennello.
Seconda sezione – Incisioni e libri
Raoul Dufy realizza le prime xilografie nel 1907 per illustrare una raccolta di poesie di Fernand Fleuret – Friperies (pubblicata nel 1923) – e poi il Bestiario o Il corteggio d’Orfeo di Guillaume Apollinaire(pubblicato nel 1911), un’opera cui Picasso aveva rifiutato di lavorare. Concepita ispirandosi ai bestiari medievali, quell’illustrazione è un capolavoro di inventiva che gioca sui contrasti del bianco e del nero.
Dufycontribuisce con quel lavoro alla rinascita dell’incisione su legno, in atto dalla fine dell’Ottocento, promossa, tra gli altri, da Remy de Gourmont e Alfred Jarry e assai apprezzata dagli artisti d’avanguardia. Si serve di questa tecnica per illustrare Les élégies martiales di Roger Allard (1917) per poi passare alla litografia con Madrigaux di Stéphane Mallarmé (1920) e Il poeta assassinato di Apollinaire (1926).
A partire dal 1925 riproduce l’atmosfera pittoresca delle città del meridione francese illustrando testi quali La terre frottée d’ail di Gustave Coquiot, La belle-enfant o l’amour à quarante ans di Eugène Montfort (1930) e Le avventure prodigiose di Tartarin di Tarascona (1937). I nutrimenti terrestri (1934) di André Gide evoca un universo bucolico e “douce France” sviluppato, nel secondo dopoguerra, anche in Per un erbario (1951) di Colette e Vacanze forzate (1956) di Roland Dorgelès. Paesaggi agresti, mazzi di fiori selvatici, scene di vita rurale, nature morte in giardino, sono i temi principali di queste opere eseguite ad acquerello.
Terza sezione – Moda e decorazione
Alla fine del 1910, lo stilista Paul Poiret – grande ammiratore delle xilografie del Bestiario – propone a Dufy di creare un laboratorio artigianale per la stampa su tessuto, la Petite Usine. Dufy traspone la tecnica della xilografia in ambito tessile, studia con l’aiuto di un chimico tutte le fasi della produzione e disegna per la maison Poiret sontuose stoffe stampate per la moda e l’arredamento.
Quel primo successo vale a Dufy un ingaggio da parte della seteria lionese Bianchini-Férier dal 1912 al 1928. Adatta le sue creazioni tessili alla produzione industriale e attinge in quell’ambito ai suoi motivi prediletti: i fiori, tra i quali la rosa; le fantasie animalier ed esotiche; il mare e i soggetti mitologici; ma anche Parigi, la vita contemporanea e lo sport; e per finire le decorazioni astratte e geometriche il cui vero protagonista è il colore stesso.
Dopo la chiusura della Petite Usine, alla fine del 1911, Dufy prosegue la collaborazione con Poiret nei settori della moda, dei profumi, dell’illustrazione e della decorazione e realizza i quattordici parati monumentali che adornano la chiatta Orgues in occasione dell’Esposizione internazionale delle arti decorative e industriali moderne del 1925.
Data la loro qualità e creatività, quelle decorazioni – i cui bozzetti a gouache sono vere e proprie opere d’arte a sé stanti – si inscrivono appieno nella corrente art déco e contribuiscono allo sviluppo dello stile di Dufy, un autore che nel corso della carriera concretizzerà una straordinaria alleanza tra pittura e arte decorativa.
Quarta sezione – La bagnante
L’opera di Raoul Dufy è costellata di reminiscenze dell’infanzia trascorsa a Le Havre, tra le quali la bagnante osservata sulla spiaggia di Sainte-Adresse che ai suoi occhi rappresenta “la prima rivelazione della bellezza plastica”. Dufy trasforma quella figura in un motivo iconografico centrale e ricorrente, declinandola in un numero infinito di varianti.
La grande bagnante (1914), caratterizzata da una monumentalità impressionante, è incontestabilmente il capolavoro del suo periodo cézanniano. Così ne descrive la genesi: “Ed ecco, su una tela di quattro metri quadrati, il primo spettacolo che ha deliziato un tempo i miei occhi di ragazzo e che immortalo per i posteri, quasi vent’anni dopo aver goduto di quella cosa chiamata spiaggia. Possano gli amanti della pittura, del mare d’estate e delle donne in costume da bagno trarne qualche piacere”.
Questa visione di una bagnante moderna si arricchisce di una dimensione mitologica e allegorica tramite il rimando alla figura di Anfitrite, che compare nel repertorio decorativo di Dufy nel 1925, dopo il viaggio in Italia e la scoperta dei siti antichi della Sicilia del 1922. La Nereide seduta di fronte al mare, con una conchiglia all’orecchio, ripete la posa della Grande bagnante,ma vi infonde un carattere immaginario e fuori dal tempo. Associata a Venere, cui Dufy dedica varie composizioni ispirate a Botticelli, Anfitrite viene trasposta nell’universo dell’atelier in Nudo con conchiglia (1933).
Figure che rimandano alle naiadi e alle dee della cultura greco-romana decorano anche le coppe, le piastrelle in maiolica e i vasi realizzati a partire dal 1922 con il ceramista Josep Llorens Artigas.
Quinta sezione – Il viaggio in Italia
Da marzo a maggio del 1922, Raoul Dufy viaggia per l’Italia, visita Firenze, Roma, Napoli e poi la Sicilia (Catania, Caltagirone, Calatabiano, Scordia, Alcantara e Taormina). Pur non dipingendo vedute di città italiane, rimane impressionato dalla natura atemporale della Sicilia.
I quadri ispirati da quel viaggio (una ventina di dipinti eseguiti tra il 1922 e il 1923) esibiscono la nuova organizzazione dei colori che Dufy aveva iniziato a studiare durante il soggiorno a Vence nel 1920-1921. La luce densa e costante del Mediterraneo gli permette di semplificare la sua gamma cromatica.
Per riprodurre la vegetazione, in particolare gli eucalipti e gli ulivi, ricorre all’arabesco e al ghirigoro pur conservando l’apparenza strutturale dei tronchi. Procede nello stesso modo per raffigurare le nuvole bianco-grigie, le tegole dei tetti che creano un merletto di riccioli e il mare costellato da “v” che rappresentano le onde. Tutti questi segni diventeranno elementi identificativi del suo stile. Privilegiando un’angolazione dall’alto verso il basso ed evitando la vista a livello del suolo che rende pittoresco l’insieme, l’artista gioca sui rapporti di grandezza tra gli elementi del paesaggio.
Per Dufy, la Sicilia rappresenta l’Antichità vivente, una sorta di paesaggio virgiliano: “Sono nello stato d’animo di uno di quegli edonisti inglesi che hanno viaggiato a lungo e ci annoiano con il racconto dei loro vagabondaggi. Sono a Porto Ulisse, penso a Omero”. È grazie al soggiorno in Sicilia che Dufy si riconnette al paesaggio classico, quello di Claude Gellée, più noto come Le Lorrain.
Sesta sezione – Il grano
Sebbene i paesaggi scandiscano tutta l’opera di Raoul Dufy, pensando a lui vengono in mente soprattutto le marine e le vedute dei litorali della Normandia e della Costa Azzurra, le mecche della mondanità. Tuttavia, il suo interesse per la natura non è circoscritto a quei panorami e, a partire dal 1910, dipinge le stagioni e il lavoro nei campi.
I covoni di grano, una sorta di ode alla madre terra, entrano nel repertorio decorativo di Dufy dal 1919, quando compaiono in due parati disegnati per Bianchini-Férier e Poiret, oltre che su una piastrella e un vaso in ceramica – decorati da spighe di grano – nati dalla collaborazione tra il pittore e il ceramista Artigas.
Negli anni trenta, Dufy dedica una serie di dipinti ai campi di grano rifacendosi a Van Gogh, un maestro che ammira. Nel corso di tre estati, dal 1933 al 1936, esegue una cinquantina di paesaggi raffiguranti il territorio di Langres. Quadri in cui l’autore convoca Cerere, l’antica dea protettrice delle messi che infonde in quelle scene – celebrazioni di una terra dell’abbondanza in cui l’uomo vive in armonia con la natura – una dimensione allegorica e virgiliana.
I temi agresti vengono ripresi nelle decorazioni monumentali realizzate per l’Esposizione internazionale delle Arti e delle Tecniche del 1937: La Fée Electricité (La Fata Elettricità) e la sala da fumo del Palais de Chaillot, affidata a Dufy e Othon Friesz. Compaiono inoltre nei parati realizzati per Jean Lurçat nel 1941 e per Louis Carré nel 1948. La serie di opere dedicata alla trebbiatura(1945-1953) esalta le semplici gioie della vita rurale e le ricchezze della natura, lo stesso tema illustrato dal suo ultimo dipinto, rimasto incompiuto.
Settima sezione – Corse e cavalli
Raoul Dufy viene reso celebre dalle scene raffiguranti corse di cavalli e ippodromi prodotte negli anni venti e trenta, il fatto che il pubblico lo associ quasi esclusivamente a quella tematica spingerà l’artista a smettere di lavorare a una serie diventata, secondo lui, troppo aneddotica. Le opere ispirate al mondo dell’ippica, dipinte a partire dal 1913 e fino al 1939, nascono dalla sua frequentazione dello stilista Paul Poiret.
Negli ippodromi, Dufy scopre un intero cerimoniale: le modelle e le signore eleganti vestite con abiti di grandi stilisti si mescolano ai fantini dalle casacche multicolori. Il pittore osa ogni tipo di audacia cromatica per rappresentare la fauna degli appassionati, le tribune affollate, le bandiere al vento e i paddock incastonati in un paesaggio sfolgorante. Dal 1923 al 1924 dipinge gli ippodromi francesi di Deauville, Chantilly e Longchamp e nel corso dei suoi soggiorni in Gran Bretagna, dal 1930 al 1932, quelli di Ascot, Epson e Goodwood.
Rispetto a Edgar Degas, non sono tanto i cavalli, i fantini o il movimento a interessarlo, ma l’insieme dello spettacolo delle corse in una sintesi abbagliante di colori. Prendendosi grandi libertà con la prospettiva, dipinge soggetti fuori scala per esaltarne l’importanza e trascura invece i dettagli.
Le scene ippiche gli consentono di sfruttare al meglio il procedimento del “colore-luce”. Decide di illuminare ogni cosa da entrambi i lati, abbandonando il tono locale. Ma gli oggetti si contaminano a vicenda e inducono il pittore a bilanciare l’insieme definendo spesso due o tre zone di colore verticali che sfumano l’illuminazione generale.
Ottava sezione – Musica e Arlecchino
“Il mare e la musica, ecco cosa mi ha cullato in giovinezza”.
Nato in una famiglia di musicisti e grande appassionato di musica, Raoul Dufy crea un corpus di opere straripanti di musicalità. Sin dagli esordi impressionisti, esprime la sua passione per quell’arte con l’Orchestra di Le Havre del 1902, seguita da Omaggio a Mozart nel 1915. Quelle tele fanno da preludio alle numerose rappresentazioni di orchestre, quintetti, balletti, nature morte con strumenti musicali e omaggi ai grandi compositori – Mozart, Bach, Debussy – che illuminano il suo lavoro degli anni quaranta.
Negli anni dieci, Guillaume Apollinaire introduce l’artista nell’ambiente letterario e Dufy inizia a frequentare gli esponenti dell’avanguardia musicale e a disegnare scenografie per il teatro. Durante gli anni della guerra, la musica assume un ruolo preponderante. Il pittore stringe amicizia con Pablo Casals e i membri della sua cerchia, rifugiatisi come lui a Perpignan. Improvvisa concerti privati nel proprio studio, frequenta il teatro municipale e assiste a spettacoli di sardana e carnevali.
Traspone quell’atmosfera nella propria pittura e ritrae orchestre sinfoniche e concertisti in azione. Crea visioni immaginarie in cui si mescolano musica e teatro attraverso la figura di Arlecchino, emblema della commedia dell’arte e del carnevale di Venezia che scopre durante il suo primo soggiorno nella città dei dogi nel 1938. Soggetto prediletto di numerosi pittori, da Cézanne a Picasso, quel personaggio dalle mille sfaccettature gli ispira dal 1939 al 1946 una serie di arlecchini musicisti.
Nona sezione – Dufy e i maestri
Raoul Dufy si è sempre tenuto a distanza dall’opera dei grandi maestri viventi, a eccezione di Monet nel corso della giovinezza trascorsa a Le Havre e di Cézanne tra il 1908 e il 1919.
Intorno alla fine degli anni venti, dedica vari dipinti al “suo Dio”, Claude Lorrain, l’inventore insieme a Poussin del paesaggio classico francese. Si tratta di assemblaggi liberi: il porto vecchio di Marsiglia, la fontana di Vence, le rovine del Colosseo, passanti sulle banchine, un galeone all’ancora e una nave da carico nera che fuma in lontananza, un soggetto su cui ritornerà negli ultimi anni di vita. Da Lorrain riprende solo la struttura del porto, punto d’arrivo o di partenza per lontani paesi immaginari e il sole frontale rosso che inonda il paesaggio di una luce calda.
Alla fine degli anni trenta, osa confrontarsi con i maestri del passato: Tiziano (la Venere di Urbino ammirata durante una visita al Prado di Madrid), Tintoretto (il Concerto delle Muse visto a Monaco nel 1909) e Botticelli (La nascita di Venere, contemplata a Firenze nel 1922, di cui realizzerà una decina di versioni). Le figure della Nascita di Venere cui Dufy applica il suo metodo cromatico sonoestremamente schematizzate, ma mostrano un disegno libero e duttile.
Negli anni quaranta riprende il celebre Ballo al Moulin de la Galette di Renoir in cui rievoca con grande fluidità e leggerezza la giovinezza trascorsa a Montmartre e infonde nella sua versione maggiore gioia e movimento. Il verde domina la scena, l’azzurro e il rosa si spandono sui personaggi, gli accenti di colore sono sottolineati dalla scioltezza del pennello.
Decima sezione – In riva al mare
Raoul Dufy non smetterà mai di rappresentare i paesaggi marittimi, dalla Normandia alla Provenza. L’amore che nutre per il mare, i porti e le località di villeggiatura costituisce la sua prima fonte di ispirazione e domina tutta la sua opera. È affascinato dallo spettacolo della natura, dall’intensità della luce e dai suoi riflessi sull’acqua, dall’estensione dei panorami, oltre che dall’animazione che caratterizza i luoghi di svago della buona società nel periodo tra le due guerre.
Spettatore di feste marinare e popolari, di attività balneari e della pratica dei nuovi sport apprezzati dall’alta società, ne offre una visione gioiosa e trae da quelle scene un repertorio di motivi ricorrenti: regate, battelli impavesati, velieri, spiagge, imbarcaderi, pescatori, diportisti, onde, conchiglie e casinò dall’estuario della Senna fino alla Costa Azzurra.
Marcati dalle varie tendenze della modernità, i suoi dipinti mostrano in successione l’interesse dell’autore per il tocco impressionista, il colore fauve, il rigore cézanniano e la liberazione del colore dissociato dalla linea. Queste composizioni sostengono la sua libertà inventiva e lo spingono a sperimentare, permettendogli di esprimere appieno la sua teoria della “luce-colore” e di plasmare lo spazio senza sottostare a vincoli di prospettiva o di scala. Trattato come un fondale verticale, punteggiato da segni grafici che suggeriscono il movimento delle onde e i riflessi, il mare si fonde con l’azzurro del cielo, “l’unico colore che, in tutte le gradazioni, conserva la propria individualità”, afferma Dufy.
Undicesima sezione – Fiori e bouquet
Dufy ha sempre nutrito un vivo interesse per i fiori e le piante. Tra il 1910 e il 1930 ha addirittura trasformato quell’interesse in una specialità, producendo per le aziende tessili di Paul Poiret e per il setificio lionese Atuyer-Bianchini-Férier un considerevole numero di fantasie floreali di grande successo.
Sebbene non abbia creato un suo erbario, a differenza di certi disegnatori art nouveau, la sua mano sicura eccelle in un esercizio in cui fioriture, arabeschi ed ellissi giocano da pari a pari con una tavolozza dalle sfumature infinite. Dufy sa bene come ridurre all’essenziale motivi quali le ampie foglie delle palme, le fronde degli alberi, le spighe di grano o i petali di una rosa.
Negli anni quaranta, il tema floreale assume una nuova dimensione. Affetto da artrite reumatoide, Dufy soggiorna presso lo scrittore Roland Dorgelès a Montsaunès, un villaggio dell’Alta Garonna. Mentre il clima meridionale allevia i suoi dolori, l’ambiente bucolico e rurale si trasforma in una fonte di ispirazione e lo induce a dipingere il lavoro nei campi, mazzi di fiori e composizioni di frutti ritratti dal vero.
I mazzi di fiori improvvisati mostrano la sua eccellente capacità di sintesi, è un disegnatore che non ha alcun bisogno di un supporto o di uno sfondo. Nelle sue opere domina il colore, distribuito in chiazze, campiture e linee. L’attività di illustratore di Dufy prende principalmente le mosse da questi acquerelli, altrettante prove del carattere panteista dell’artista.
Dodicesima sezione – L’atelier
Raoul Dufy consacra molte serie al tema dell’atelier, del pittore e della sua modella, che variano secondo i vari luoghi in cui l’artista ha vissuto e creato. Plasmando opere incentrate sul proprio universo artistico, Dufy ha raffigurato di volta in volta i suoi studi a Le Havre, in Rue Séguier e sull’Impasse de Guelma a Parigi, a Nizza, in Rue Jeanne-d’Arc e in Place Arago a Perpignan.
Come una metafora della creazione, l’atelier testimonia l’attività del pittore attraverso i suoi strumenti di lavoro e oggetti familiari: cavalletti, tele vergini o già iniziate, che appaiono come una forma di autoritratto. Nel 1911, Dufy si trasferisce nello studio di Impasse de Guelma, ai piedi di Montmartre, lo spazio che si trasformerà da allora nel suo atelier principale. Tra il 1928 e il 1930, vi realizza un’importante serie di nudi in piedi o sdraiati che si stagliano sullo sfondo azzurro, il suo colore preferito, quello con cui ha dipinto le pareti.
Nelle vedute d’interni eseguite in studio a Perpignan, tra il 1940 e il 1950, l’artista ricorre a una mise en abyme di opere proprie e scene di strada viste attraverso le finestre. Inondato di luce, l’atelier di Rue Jeanne-d’Arc abbonda di toni caldi dalle sfumature arancioni e mostra come il clima meridionale trasformi la sua tavolozza. Il secondo studio, in Place Arago, dà origine a un’ultima serie di tele che vede emergere il motivo di una consolle rocciosa sormontata da uno specchio, che sottolinea la propensione del pittore per l’economia dei dettagli e la monocromia. Questo ciclo costituisce il culmine della sua ricerca sulla pittura tonale.
Tredicesima sezione – La Fata Elettricità, “il dipinto più grande del mondo”
La Fée Electricité (La Fata Elettricità) è stata concepita e realizzata da Raoul Dufy per il padiglione della luce e dell’elettricità, nel quadro dell’“Esposizione internazionale delle arti e delle tecniche nella vita moderna” tenutasi a Parigi nel 1937.
Dufy ha a disposizione appena undici mesi per completare il progetto. Accetta la sfida e dimostra di essere un direttore d’orchestra senza pari. Della documentazione scientifica si occupa il fratello dell’artista, Jean Dufy, assistito da un esperto. Lo stesso artista prende appunti e incontra alcuni scienziati.
Il pittore rinuncia alla tela per lavorare su duecentocinquanta pannelli di compensato di 2 x 1,20 metri e in una fabbrica dismessa che funge da atelier allestisce un vero e proprio cantiere. Una volta dipinti, i pannelli vengono avvitati su un telaio metallico.
Dufy sceglie di impiegare i colori Maroger (“olio resinato, emulsionato in acqua gommata”) per il loro breve tempo di essiccazione. La duttilità e la trasparenza della pittura la fanno assomigliare all’acquerello. Oltre a uno studio in scala 1/10, il pittore realizza numerosi disegni, acquerelli, disegni su carta da lucido che utilizza per tracciare sui pannelli i contorni delle forme fotografate su lastre di vetro e poi proiettate, con una lanterna magica, nella scala desiderata.
Come una sorta di poema sinfonico, questa grande decorazione “poetica, storica e pittorica” evoca l’osservazione e l’invenzione dell’elettricità da parte di scienziati e inventori, disposti in fregio dall’antichità ai giorni nostri, e gli effetti delle loro scoperte sulla vita quotidiana e sul progresso dell’umanità. L’artista vi dispiega piccoli episodi narrativi ispirandosi alla tecnica del fotomontaggio, incastra le storie una nell’altra, e modifica le scale, sopprimendo la prospettiva e l’orizzonte. Utilizza grandi campiture di colore per collegare visivamente le scene l’una all’altra.
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