Lavoro

I conti che non tornano nelle buste paga

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Con più dell’otto per cento di inflazione i lavoratori dipendenti si vedono ridotto il loro salario già di per sé striminzitoL’inflazione è come un ladro che ti toglie un qualcosa di cui ti accorgi della sua sparizione dopo. Non è un caso che il dibattito lo consideri un fatto residuale che non fa audience, non importante per partiti politici alla eterna caccia di attrarre elettori.

Eppure una busta paga mensile di mille e 300 euro, ricevuta in costanza della attuale inflazione, vale meno di un centinaio di euro a fronte di rialzi di mutui, utenze, prezzi di beni al supermercato ed alla pompa di benzina. Per rimediare a questo disastro ci si affida alla misura in atto della BCE di rialzo ulteriore dei tassi di interessi, che contraendo la spesa pubblica provoca una riduzione della inflazione, che è la misura classica per spegnere l’incendio inflativo. 

Ma pur abbassando gli effetti collaterali, per noi italiani che abbiamo circa duemila e ottocento miliardi di debito, con un aumento medio del 3%, ci ritroveremo con un debito accresciuto abnormemente di circa 75 miliardi in più: un terzo del finanziamento UE per il nostro PNRR. Dunque, toglierebbe il macigno inflativo sui mutui, ma ne troverebbe un altro sulle spalle provocato dai tassi d’interesse sugli stessi mutui, dalla riduzione di sanità, scuola, assistenza, previdenza, oltre ai danni che potrebbero provenire dal rischio di una eventuale recessione.

interris.it

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