Il naufragio dei migranti a Pylos, le 19 chiamate disperate che i greci hanno ignorato: “Aiuto o sarà l’ultima notte”
ROMA – Diciannove disperate telefonate in 13 ore ai volontari del soccorso in mare, l’ultima alle 00.46 di mercoledì notte: “Hello my friend, the ship you sent is…”. La chiamata si interrompe lì. In quel momento, le navi tanto invocate, due mercantili e una corvetta della Guardia costiera greca, sono arrivate da diverse ore, ma – con azzardatissime manovre che hanno rischiato di far capovolgere il peschereccio – hanno solo tirato bottiglie di acqua ai 750 disperati che da cinque giorni sgomitano per conquistare spazio vitale sui due ponti, la stiva stracolma di donne e un centinaio di bambini.
Non un salvagente lanciato, non un tentativo di trasbordo delle persone per alleggerire quel barcone che oscilla paurosamente. Fino a quando sotto gli occhi dei guardacoste greci, alle 2.04, con il motore improvvisamente spentosi, il barcone diventato ingovernabile si ribalta e va giù in pochi minuti, portando negli abissi più di 500 persone: solo 78 i corpi recuperati, 108 i superstiti e tra questi 9 presunti scafisti, egiziani, che ieri a terra sarebbero stati riconosciuti da alcuni sopravvissuti come gli uomini che conducevano la barca arrivata a Tobruk dopo esser partita vuota proprio dall’Egitto.
Dopo 36 ore, il mare non ha restituito né morti né vivi. Senza più speranza, con un fondale di 4.000 metri, i soccorsi. Da Siria, Afghanistan, Pakistan, Egitto arrivano le foto dei dispersi diffusi dalle famiglie alla ricerca dei loro cari imbarcatisi sabato a Tobruk.
la repubblica
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