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L’eruzione del Vesuvio, il più grande disastro dell’antichità. Anche se, le fonti non concordano sulla data

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ACCADDE OGGI – MICHELA LUDOVICI

: Che sia accaduto il 24 Agosto, data tramandata dalle fonti storiche, che sia accaduto nel mese di Ottobre identificato dagli studi scientifici come data più certa, la grande eruzione che distrusse Ercolano e Pompei nel 79 d.C. fu certamente la più grande calamità della storia antica ed è ancora oggi uno degli avvenimenti storici più studiati al mondo.

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Come dimenticare quella che, fissata secondo la tradizione e le fonti storiche al 24 agosto del 79 d.C., fu la più potente eruzione vulcanica dell’epoca antica.

L’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. è la più nota eruzione fra quelle verificatesi sino a quel momento e venne raccontata nelle lettere scritte da Plinio il Giovane allo storico Tacito. In tali lettere Plinio narra di come lo zio, Plinio il Vecchio, fosse morto mentre tentava di avvicinarsi ai territori colpiti. Da lì nacque l’espressione eruzione pliniana che viene tutt’oggi utilizzata per designare eruzioni simili a quelle del Vesuvio del 79 d.C.

Ma come andò veramente? Proviamo a tornare indietro nel tempo e a contestualizzare questa presenza costante nel panorama naturalistico dell’epoca. Al tempo dei Romani, il Vesuvio era in apparenza inattivo e i territori collocati sul suo pendio erano abbastanza fertili, poiché composti da rocce vulcaniche.

Per siffatte motivazioni, nei dintorni del vulcano prosperarono ricchi nuclei abitativi, tra cui Pompei ed Ercolano, considerati dai Romani facoltosi anche come propria sontuosa zona di villeggiatura. Nel 79 d.C, il Vesuvio sorprese tutti, destandosi inaspettatamente dopo circa 800 anni di pace.

Fra le altre cose, I pompeiani non erano in realtà a conoscenza del fatto che il Vesuvio identificasse un vulcano, poiché esso appariva ai loro occhi come un’inoffensiva e florida montagna. Svariati terremoti, dovuti alla risalita del magma all’interno del vulcano, anticiparono l’accaduto ma nessuno gli diede il giusto peso né ricollegò tali segnali ad una possibile eruzione.

Ed ecco, si arrivò così alla prima fase dell’eruzione, verificatasi secondo alcune fonti proprio il 24 Agosto: ci furono una sequenza di esplosioni che generarono la fuoriuscita di una colonna di gas, ceneri e lapilli, alta oltre quindici chilometri. La nube, a quel punto, si estese in larghezza, assumendo la forma di un pino marittimo. Iniziò così un’abbondante pioggia di corpi solidi che travolse le aree limitrofe, specialmente Pompei, su cui scesero grandi quantità di pomici sotto le quali la città venne sepolta dopo diversi crolli.

Arrivò la notte e a Pompei l’atmosfera sembrava essersi calmata. D’improvviso, l’eruzione cambiò nella forma e nella modalità: la parte più concentrata della colonna di gas e pietre incandescenti precipitò su se stessa e atterrarono lungo i lati del vulcano delle nubi ardenti, composte da flussi di gas e pietre dalla temperatura di 300/400 °C.

Arrivò così su Ercolano e sui paesi vicini, uccidendo all’istante qualunque forma di vita. La mattina del 25 agosto (sempre secondo la data stabilita dalle fonti scritte), un flusso incandescente s’indirizzò anche verso Pompei. Il flusso si arrestò alle soglie della città, ma coloro che vi erano rimasti o vi erano tornati a recuperare degli oggetti personali vennero uccisi dai gas tossici che saturavano l’aria.

Durante il pomeriggio, a seguito del crollo di una porzione del Vesuvio, la colonna eruttiva precipitò, scendendo lungo le sponde del vulcano, investendo vaste aree del golfo di Napoli e uccidendo gli abitanti delle campagne.

La città di Pompei venne per sempre sepolta da diversi metri di piroclasti e i suoi abitanti vennero incorporati dalle polveri vulcaniche che in seguito solidificarono. All’interno i corpi si decomposero, perciò sotto gli strati di cenere rimasero le loro cavità, una sorta di fotografia della loro esistenza, ad oggi visibile dai visitatori che si recano in tour a Pompei ed Ercolano.

Gli archeologi hanno infatti colmato queste cavità con versamenti di gesso e ricreato dei calchi delle vittime. Nell’ambito di una delle più lunghe e importanti operazioni di scavo e studio archeologico della storia, gli studiosi hanno man mano scavato e pulito i territori dagli strati di pietre, riportando alla luce i resti incredibilmente conservati della città di Pompei.

Oggetti, luoghi, dettagli anche intimi e quotidiani della vita dell’epoca sono così riemersi. Un’epoca rimasta congelata dal fuoco per millenni, spazzata via in un attimo, tutt’ora oggetto di lunghi dibattiti e di studi non ancora terminati.

Sapevate che…

Prima dell’eruzione del 79 d.C., quello che noi chiamiamo Vesuvio e che identifichiamo come vulcano era denominato solamente Monte Somma (la figura montuosa che oggi lo affianca), poiché si trattava davvero di un monte, o meglio, un vulcano camuffato da montagna. Durante l’ultima fase dell’eruzione, quest’antica costruzione vulcanica subì un collasso su se stessa che originò una caldera di 4 km di diametro. Solamente dopo, all’interno della caldera del Monte Somma si estese il cono vulcanico dell’attuale Vesuvio. Il quale, comunque, resta il più pericoloso e monitorato al mondo, tutt’ora attivo anche se in stato di quiete dopo l’ultima eruzione avvenuta nel 1944. Il mondo attende, preparato e pronto ad agire di conseguenza, elemento evidentemente assente all’epoca di Pompei ed Ercolano.

Accadde oggi: la vita dei romani e il mondo intero venivano sconvolti dalla più disastrosa eruzione di tutti i tempi, alla quale gli stessi contemporanei stentavano a credere. Un evento storico doloroso che turisti e visitatori da tutto il mondo tentano di rivivere camminando lungo il sito archeologico di Pompei ed Ercolano.

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