Emilia Romagna, dall’alluvione al disastro
Dall’alluvione al disastro. È nel giorno in cui il generale Figliuolo viene inviato alla campagna di Romagna disarmato – cioè senza un lira, o come disse lui con più eleganza “al momento senza portafoglio” – che a tutti viene il sospetto che a Roma dell’alluvione non ci stiano capendo nulla.
Sospetto perfino più grave di quello che si era a lungo temuto, e cioè che tutti i ritardi accumulati fin lì fossero dovuti a un mero calcolo politico di bassa lega, con la prospettiva delle elezioni regionali in arrivo e l’idea di indebolire la regione rossa. Invece, oltre i ritardi della nomina del commissario e i conseguenti bizantinismi dei sub-commissari, e oltre i gravi disagi di chi ha dovuto attendere più di due mesi perché firmassero un decreto, i danni si stanno moltiplicando di giorno in giorno. Servivano 9 miliardi circa, ne arrivano giusti giusti la metà. Si era promesso che tutti i cittadini sarebbero stati risarciti, e fin qui la Protezione civile ha versato 3mila euro a 11mila famiglie disastrate. Si era detto che le imprese andavano fatte ripartire il prima possibile per ridare fiato e lavoro a tutto il territorio, e a fronte di 2 miliardi di danni stimati arrivano 120 milioni per tamponare qualche falla.
Non è il piatto a piangere, ma l’asse dorsale di un’intera regione, che dal bolognese arriva fino a Ravenna, tocca Cesena, Forlì, decine di comuni e mezzo Appennino. Che poi di piangere qui non ne ha voglia nessuno e più che altro in molti stanno perdendo fiducia e pazienza.
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