Vigili del fuoco

I Vigili del Fuoco nell’emergenza COVID-19

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MARCELLO DEON – Direttore Coordinatore Speciale – in servizio presso la Direzione Regionale VV.F. Puglia

Articolo pubblicato sul giornale IL FARO – Nella rubrica dei Vigili del Fuoco

COVID-19, l’hanno battezzata così questa emergenza. Un freddo acronimo, dal sapore metallico, che in pochi caratteri ha l’ingrato compito di racchiudere il significato di questa terribile pandemia: una “emergenza sanitaria”, denominata anche “malattia respiratoria acuta da SARS-CoV-2”.

Un’emergenza apparsa inizialmente lontana dal nostro paese, lontana dalla nostra realtà quotidiana e che invece proprio nella bella Italia, per ora, ha avuto l’esplosione maggiore.

Un’emergenza per la quale, al momento, l’unico sistema di difesa per limitare il contagio nella popolazione è costituito dall’isolamento delle persone, quello che è stato definito “isolamento sociale”.

Un sistema di contrasto che quindi ha letteralmente confinato in casa la gente, famiglie e non, che ha obbligato allo smart working, che ha determinato la chiusura delle attività scolastiche di ogni grado e tipo e che inevitabilmente ha reso più soli un po’ tutti ed in particolare chi nella propria esistenza lo era già.

Un elemento di difesa indispensabile che ha mutato il modus vivendi e le abitudini di tutti, con effetti su adulti e bambini.

Naturalmente, e di riflesso, sono cambiate le cose anche per il mondo dei Vigili del Fuoco e sono cambiate sia nell’attività di soccorso che nel vivere le caserme, luogo di incontro, di comunione, di attesa, oltre che di lavoro.

Quelle case chiamate caserme dove i Vigili del Fuoco dividono sensazioni, affetti, ma anche paure ed angosce, perché prima ancora di essere pompieri sono esseri umani, hanno famiglie e parenti, affetti e amici, hanno fragilità ed emozioni, quelle emozioni che spesso nel compimento del dovere devono nascondere.

I Vigili del Fuoco si ritrovano a doversi interfacciare “a distanza” e così al cambio turno ad evitare assembramenti, negli spogliatoi a vestire indossare la divisa con attenzione, negli uffici a organizzare diversamente gli spazi, in genere cercando di osservare quel metro che mai come in questo momento più che all’unità base di misura del Sistema internazionale, associamo ad una condizione di vita.

Anche gli sguardi in caserma sono diversi, un po’ smarriti, quasi come raccontassero l’apprensione, il disagio, le preoccupazioni professionali e personali..

C’è il timore di contagiare ed essere contagiati e di non sapere né quando né come; il timore di “portare a casa” l’ospite indesiderato.

Ed il timore lo si percepisce ancor più nei servizi esterni di soccorso.

“Impauriti e smarriti”, come ha sottolineato durante la “Benedizione Ubi et Orbi” del 27 marzo 2020, Papa Francesco.

Un appuntamento col mondo e con la storia, nel quale un uomo solo, ma non sconfitto, ha pronunciato la sua preghiera in uno scenario surreale, accompagnato dal Crocifisso miracoloso esposto sul sagrato della basilica di San Pietro, in una Roma che lentamente si avviava verso il buio della notte; un buio più malinconico che mai.

Le sue parole hanno attraversato la Piazza desolatamente vuota e silenziosa, apparentemente in ascolto; un silenzio rotto dallo scroscio incessante e frustrante della pioggia che faceva da malinconico sottofondo; e dalle sirene dei mezzi di soccorso che, se possibile, hanno amplificato e stretto il cuore in un’angoscia infinita.

Il Pontefice si è unito al mondo intero in preghiera e credo il mondo si sia unito a lui.

Il paese ha dovuto porre rimedio con provvedimenti proporzionali alla realtà che si manifestava strada facendo.

Sono stati attuati i primi isolamenti di provincie e poi di regioni, con l’istituzione delle cosiddette “zone rosse”, che riportano alla memoria dei Vigili del Fuoco altre emergenze e le interdizioni dei centri abitati dopo gli effetti devastanti di un sisma. Storie tristi di morte e distruzione, a volte totale.

In questa emergenza le zone rosse non identificano luoghi devastati, almeno non nelle strutture; sono invece intere aree geografiche dove il virus ha creato focolai di infezione ed è dilagato velocemente come un fiume in piena, devastando le famiglie, soprattutto gli anziani e mettendo a dura prova il sistema sanitario italiano.

L’11 marzo 2020 il governo con il “Decreto #IoRestoaCasa”, ha sospeso le normali ed ordinarie attività commerciali al dettaglio, i servizi di ristorazione, ha vietato gli assembramenti nei luoghi pubblici o aperti al pubblico. In sostanza salvo casi autorizzati, è stato imposto lo “stare in casa”.

L’Italia è stata chiusa a chiave!

La notizia viene anticipata dal Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, con un discorso in diretta TV la sera precedente all’entrata in vigore del decreto ed è sembrato di assistere ad una “dichiarazione di stato di guerra”.

La gente davanti allo schermo attonita, stupita, senza parole.

Le nostre generazioni non hanno attraversato periodi bellici; i nostri anziani, quelli di oggi, appartengono alla generazione nata nel secondo dopoguerra e quindi non siamo per nulla preparati ad un simile evento.

Ci siamo ritrovati in uno stato emergenziale che non rappresenta certo una consuetudine neanche per i Vigili del Fuoco, seppur il Corpo Nazionale sia istituzione preparata a qualsiasi avversità, compreso quelle di natura biologica.

In particolare nell’organizzazione del Corpo è presente una qualificazione, denominata NBCR (Nucleare, Biologico, Chimico e Radiologico), costituita da uomini e mezzi ed attrezzature in grado di fornire un sistema di risposta in eventi incidentali che ricadano in tali ambiti.

Difatti tra i compiti istituzionali le vigenti disposizioni legislative attribuiscono al Corpo una importante mission in materia di “Difesa Civile”, che si concretizza “nell’opera tecnica di contrasto dei rischi derivanti dall’impiego dell’energia nucleare e dall’uso di sostanze batteriologiche, chimiche e radiologiche“, così da “fronteggiare, anche in relazione alla situazione internazionale, mediante presidi sul territorio, i rischi definiti “non convenzionali”.

Sono i rischi derivanti da eventuali atti criminosi compiuti in danno di persone o beni, con l’uso di armi appunto NBCR.

La “difesa civile” consiste quindi nell’attività di salvaguardia svolta da parte dello Stato nei confronti del Paese in occasione di “aggressione alla Nazione”, con il compito di assicurare la continuità dell’azione di governo, proteggendo, da un lato, la capacità economica, produttiva e logistica del Paese e, dall’altro, riducendo l’impatto degli eventi di crisi sulla popolazione.

Seppure in merito alle origini della comparsa del nuovo virus la comunità scientifica ed in particolare l’Organizzazione Mondiale della Sanità abbiano definito quale ipotesi più probabile quella di un animale, che come ospite intermedio, abbia svolto un ruolo nella trasmissione del virus dai pipistrelli all’uomo, l’emergenza COVID-19 è nella realtà quotidiana una guerra.

Una guerra senza “rumori”, silenziosa e per questo forse più angosciante e disarmante, ma che puntualmente alle 18,00 di ogni giornata presenta il conto, con il bollettino della Protezione Civile che comunica i data dei contagiati, dei guariti e, purtroppo, dei deceduti sul campo.

Il nemico non è visibile, anche se gira per le strade a volto nudo e si insinua facilmente nei nostri corpi e nelle nostre vite, in modi e con effetti diversi, sino a portare alla morte degli individui più fragili.

Non può essere combattuto con i sensi, come per la radioattività. Non puoi sentirlo e non puoi vederlo, non ha colore né sapore e questo rende tutto maledettamente più complicato, perché vuol dire che la guerra si svolge al buio.

I Vigili del Fuoco in questo caso, a differenza della radioattività, non possono misurarne l’attività con la strumentazione in dotazione, ma devono esclusivamente lavorare al buio, con ogni possibile sistema di protezione.

Per ridurre i contagi e diradare i contatti tra il personale, anche il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco ha dovuto intraprendere importanti provvedimenti organizzativi: è stato variato l’orario di lavoro di soccorso, con personale in turno continuativo per 24 ore e sono state introdotte le cosiddette partenze ridotte, ovvero squadre formate da 3 unità in luogo delle 5/6 ordinariamente previste, da impiegare per la risoluzione di interventi di minore complessità (aperture di porta, verifiche, danni d’acqua, dissesti, voragini, ecc.). Tale programmazione dei servizi consente di ridurre drasticamente le occasioni di contatto tra il personale VVF.

Sono state sospesa le attività di formazione e quelle dei sopralluoghi di prevenzione incendi.

Durante l’espletamento dei servizi di soccorso tecnico urgente tutto il personale deve osservare le misure generali di prevenzione e protezione, definite nella linea guida “Gestione del rischio operativo connesso all’emergenza COVID-19”.

Il Dipartimento VV.F. ha anche disciplinato le attività istituzionali adeguandole allo stato di crisi in atto: i vigili del fuoco sono quindi scesi in campo fornendo il proprio apporto nelle attività di “Protezione Civile”, essendone il C.N.VV.F. componente fondamentale, supportando i sindaci nelle misure di contrasto alla diffusione del virus.

In particolare quotidianamente sono svolti interventi su tutto il territorio nazionale con squadre che operano per l’igienizzazione di locali e di aree esterne, per il trasporto urgente di materiali sanitari ed in generale di supporto alla popolazione.

Le squadre sono dotate di dispositivi di protezione individuale e collettivi per svolgere in sicurezza anche il soccorso legato al COVID-19, sia nei servizi di soccorso diretto che nella collaborazione prestata ai soccorritori sanitari.

Ma immancabilmente il virus ha toccato anche la grande famiglia VVF, alla data del 30/03/2020 risultano interessate 601 unità di personale del Corpo Nazionale, di cui:

476 unità in isolamento domiciliare per sorveglianza preventiva, 125 unità positive al COVID-19 (di cui 18 ricoverati, 7 in terapia intensiva e 100 in isolamento domiciliare) e purtroppo sono da registrare 2 decessi.

È un pericolo nuovo da affrontare, una nuova sfida, le squadre NBCR non sono presenti in tutte le caserme, ma generalmente nelle sedi centrali dei Comandi, per cui i Vigili del Fuoco devono affrontare il pericolo soprattutto con le squadre generiche.

Effettuare un servizio di soccorso di “apertura porta con persona da soccorrere all’interno” è, per esempio, un intervento definibile ordinario nel senso che giornalmente statisticamente avviene con una certa frequenza sul territorio nazionale e che al tempo del COVID-19 può esporre il personale ad un livello di rischio altissimo.

Il personale deve operare nei limiti del possibile osservando la regola della distanza di 1 m, ma nei confronti della persona da soccorrere ovviamente questa ipotesi non è perseguibile. Occorre quindi proteggersi ed adottare tutte le indicazioni previste dalle linee guida VV.F.

E così i Vigili del Fuoco magari li scopriamo in tuta bianca, una vestizione che richiama interventi legati ad incidenti coinvolgenti sostanze chimiche o radioattive, ovvero più in generale con rischio di contaminazione per gli operatori.

Queste vestizioni purtroppo oggi non appartengono più all’immaginario, ma sono triste realtà quotidiana della collettività in quanto riproposte dai media continuamente, soprattutto nelle immagini che riguardano il meraviglioso, incessante ed impagabile lavoro svolto dal personale sanitario.

Resta quell’immagine dolorosa delle colonne di automezzi pesanti militari che trasportano corpi senza vita, segno di una sconfitta per l’umanità intera, nonostante il sacrificio e l’abnegazione del personale sanitario e di tutte le altre forza in campo.

Occorre uno sforzo comune, concetto di squadra allargata; i Vigili del Fuoco sono formati ed abituati a lavorare in squadra, l’unione insieme alla competenza, sono la vera forza del Corpo ed insieme alla popolazione si riuscirà a vincere questa guerra.

Quell’unisono invocato da Papa Francesco, riprendendo i contenuti della sua preghiera universale, “Siamo tutti sulla stessa barca dobbiamo remare insieme”.

Insieme si può!

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