In un anno raddoppiate le chiamate al n. 1522
SIMONA CONSONI
a pandemia ha messo a dura prova anche chi lavora in prima linea per la difesa delle donne dalla violenza maschile. Un fenomeno insidioso e inquietante, soprattutto per le molte donne costrette in casa, a causa dei vari lockdown, insieme a mariti e compagni violenti. A ridosso del 25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, l’associazione ActionAid ha diffuso un monitoraggio sulla violenza, i fondi destinati al settore alle prese con l’emergenza Covid-19. I centri antiviolenza (CAV) e le case rifugio, afferma ActionAid, “durante la pandemia sono gli unici spazi che hanno continuato a funzionare del sistema antiviolenza”. Solo l’enorme impegno dei CAV, anche nelle situazioni più critiche come quelle lombarde, ha garantito alle vittime di essere supportate”. Durante il primo lockdown, le chiamate al 1522 sono più che raddoppiate rispetto al 2019. Questo a fronte di ritardi e della mancanza di procedure standard delle istituzioni. Dalla scarsità di mascherine e guanti (distribuiti solo in pochissimi casi dalle istituzioni locali come a Brescia) all’impossibilità di accedere ai tamponi, fino alla mancanza di spazi adeguati per isolamenti fiduciari. Nonostante la circolare inviata a marzo 2020 dal Ministero dell’Interno alle Prefetture per rendere disponibili alloggi alternativi, i centri spesso sono stati costretti a ricorrere a bed&breakfast o appartamenti messi a disposizione da conoscenti e privati. È quanto denuncia il nuovo rapporto di ActionAid che monitora i fondi statali previsti dalla legge 119/2013 (la legge sul femminicidio) insieme all’attuazione del Piano antiviolenza 2017-2020.L